Maltrattamenti in Famiglia: tutto ciò che devi sapere sul reato previsto dall’art. 572 c.p.

Indice
- Che cos’è il reato di Maltrattamenti in Famiglia
- Chi può essere autore e chi può essere vittima
- Le forme di violenza riconosciute dalla legge
- Le pene previste dall’art. 572 c.p.
- Procedibilità e Codice Rosso
- L’importanza della prova e della denuncia
- Dati ISTAT sui maltrattamenti e la violenza domestica
- Giurisprudenza sui Maltrattamenti in Famiglia
- Il gratuito patrocinio per le vittime di Maltrattamenti in Famiglia
- Come difendersi da un’accusa di Maltrattamenti in Famiglia
- FAQ – Domande frequenti sui Maltrattamenti in Famiglia
Che cos’è il reato di Maltrattamenti in Famiglia
Il reato di Maltrattamenti in Famiglia, previsto dall’art. 572 del Codice Penale, punisce chiunque maltratti una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia.
Non si tratta di un episodio isolato, ma di un comportamento abituale caratterizzato da violenze fisiche, psicologiche, morali o economiche, tali da rendere la vita della vittima insostenibile.
Rientra tra i Reati del Codice Rosso, il che significa che la legge prevede una trattazione prioritaria e l’obbligo per il Pubblico Ministero di sentire la persona offesa entro tre giorni dalla denuncia.
L’articolo 572 del Codice Penale: il quadro normativo
Il reato di Maltrattamenti in Famiglia è disciplinato dall’art. 572 del Codice Penale, inserito nel Titolo XI – “Dei delitti contro l’assistenza familiare”.
La norma prevede che “chiunque maltratta una persona della famiglia, o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, è punito con la reclusione da tre a sette anni”.
L’articolo richiama inoltre diverse circostanze aggravanti, tra cui:
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- la presenza di minori o persone disabili;
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- la gravidanza della vittima;
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- la commissione del fatto mediante armi o sostanze pericolose;
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- la morte della persona offesa, anche se non voluta.
L’art. 572 c.p. rappresenta quindi una norma cardine nel contrasto alla violenza domestica, in quanto tutela non solo l’integrità fisica ma anche la dignità, la libertà morale e l’equilibrio psichico della vittima.
- la morte della persona offesa, anche se non voluta.
La natura abituale del reato
L’elemento caratterizzante del reato di Maltrattamenti in Famiglia è l’abitualità. Non basta un singolo episodio di violenza, ma una reiterazione di condotte che, considerate nel loro insieme, creano un contesto di oppressione o sopraffazione.
Le violenze possono essere di tipo fisico (percosse, minacce, lesioni) o psicologico (umiliazioni, controllo, isolamento, intimidazioni, privazioni economiche).
La giurisprudenza riconosce il reato anche quando le condotte non sono quotidiane ma comunque costanti nel tempo, tali da minare la libertà e la dignità della vittima.
Chi può essere autore e chi può essere vittima
Il reato di Maltrattamenti in Famiglia può essere commesso da qualunque persona che si trovi in una posizione di autorità, affidamento o convivenza stabile.
Gli autori più comuni sono coniugi, conviventi, genitori, figli, tutori, educatori o badanti.
La vittima può essere un familiare, un partner, un minore o anche un anziano affidato alle cure dell’autore.
La tutela si estende anche alle coppie di fatto e alle relazioni non formalizzate, quando sia dimostrata una convivenza stabile o un legame affettivo consolidato.
Le forme di violenza riconosciute dalla legge
Il reato di Maltrattamenti in Famiglia comprende diverse forme di violenza, tutte ugualmente gravi:
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- Violenza fisica, come percosse, strattoni, schiaffi o qualsiasi forma di lesione;
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- Violenza psicologica, che include insulti, minacce, isolamento e manipolazione emotiva;
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- Violenza economica, come la privazione di denaro, il controllo delle spese o la negazione di risorse essenziali;
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- Violenza sessuale, quando vi è costrizione o abuso nel contesto familiare;
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- Violenza assistita, ossia quella commessa alla presenza di figli o minori, considerata aggravante ai sensi del Codice Rosso.
La Corte di Cassazione, Sez. VI, con sentenza n. 19847 del 2022, ha chiarito che il reato può sussistere anche in assenza di lesioni fisiche, qualora le condotte reiterate determinino un clima di sopraffazione, ansia e paura nella vittima.
La violenza economica e digitale come forma di maltrattamento
Il concetto di Maltrattamenti in Famiglia non si limita alle sole condotte fisiche o psicologiche, anche la violenza economica e digitale come forme autonome di abuso familiare.
La violenza economica si manifesta attraverso il controllo totale del denaro, la privazione delle risorse necessarie, la gestione unilaterale dei conti, o il divieto di lavorare o studiare.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11061/2023, ha stabilito che il controllo finanziario e la privazione dei mezzi di sostentamento possono integrare il reato di maltrattamenti se mirano a limitare la libertà e l’autonomia della vittima.
Allo stesso modo, la violenza digitale comprende il monitoraggio delle comunicazioni, il controllo del telefono o dei social network, la diffusione di immagini intime o la sorveglianza elettronica del partner. Queste condotte, se reiterate, creano un clima di soggezione e paura, e rientrano a pieno titolo tra i comportamenti puniti dall’art. 572 c.p.
Le pene previste dall’art. 572 c.p.
L’art. 572 c.p. stabilisce che chiunque maltratta una persona della famiglia o convivente è punito con la reclusione da tre a sette anni.
La pena è aumentata:
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- se il fatto è commesso in presenza o a danno di un minore, di una donna in gravidanza o di una persona con disabilità;
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- se dal fatto derivano lesioni personali gravi o gravissime;
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- se ne consegue la morte della vittima, anche non voluta (in quest’ultimo caso si applicano pene fino a ventiquattro anni di reclusione).
Quando il reato è aggravato, la procedibilità è d’ufficio e non è necessaria la querela della persona offesa.
Procedibilità e Codice Rosso
Il reato di Maltrattamenti in Famiglia è sempre procedibile d’ufficio.
Ciò significa che, una volta acquisita la notizia di reato, il Pubblico Ministero deve procedere autonomamente, anche in assenza di querela della vittima.
Trattandosi di reato ricompreso tra i Reati del Codice Rosso, la legge impone una corsia preferenziale per la trattazione del caso.
Il Pubblico Ministero deve sentire la persona offesa entro tre giorni dalla denuncia, e può disporre immediatamente misure cautelari come l’allontanamento dalla casa familiare, il divieto di avvicinamento o l’applicazione del braccialetto elettronico.
L’importanza della prova e della denuncia
Le indagini nei casi di Maltrattamenti in Famiglia si basano spesso sulle dichiarazioni della vittima, ma possono essere rafforzate da altri elementi di prova:
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- referti medici o certificati del pronto soccorso;
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- messaggi, email, chat o registrazioni audio/video;
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- testimonianze di vicini, parenti, amici o insegnanti;
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- relazioni dei servizi sociali o del centro antiviolenza.
È fondamentale che la vittima, al momento della denuncia, fornisca quante più informazioni possibili per consentire una ricostruzione completa del contesto familiare e della reiterazione delle condotte.
Anche le persone accusate ingiustamente devono poter contare su un’adeguata difesa tecnica per dimostrare l’insussistenza dell’abitualità o la falsità delle accuse.
Il valore probatorio della parola della persona offesa
Nel reato di Maltrattamenti in Famiglia, la parola della persona offesa può assumere un ruolo centrale ai fini della prova della responsabilità penale dell’imputato.
La Corte di Cassazione, con una giurisprudenza ormai consolidata, ha affermato che le dichiarazioni della vittima, se ritenute intrinsecamente attendibili, coerenti e prive di intenti calunniatori, possono da sole fondare una sentenza di condanna, anche in assenza di riscontri esterni.
Naturalmente, la parola della persona offesa deve essere sottoposta a un esame critico rigoroso, considerando eventuali contraddizioni, motivi d’inimicizia o secondi fini. Tuttavia, nei casi di Maltrattamenti in Famiglia, l’esperienza giudiziaria dimostra che la testimonianza della vittima, unita a referti medici, messaggi, foto o testimonianze indirette, può essere pienamente sufficiente per dimostrare la colpevolezza dell’autore.
Questo orientamento giurisprudenziale riflette l’attenzione del sistema giudiziario verso i reati “endofamiliari”, in cui la violenza avviene spesso in luoghi privati e difficilmente documentabili con prove tradizionali.
Cosa succede dopo la denuncia per Maltrattamenti in Famiglia
Dopo la presentazione della denuncia o querela, il Pubblico Ministero iscrive la notizia di reato e avvia immediatamente le indagini preliminari. Trattandosi di un reato rientrante nel Codice Rosso, la persona offesa deve essere ascoltata entro tre giorni dall’iscrizione del fascicolo, salvo esigenze particolari.
Durante questa fase vengono raccolte prove, testimonianze, referti medici e relazioni dei servizi sociali. Se emergono elementi di pericolo per la vittima, il giudice può disporre misure cautelari urgenti, come l’allontanamento dell’indagato dalla casa familiare, il divieto di avvicinamento, il divieto di comunicazione con la persona offesa o, nei casi più gravi, la custodia cautelare in carcere.
Quando è previsto l’arresto per Maltrattamenti in Famiglia
L’arresto per Maltrattamenti in Famiglia può essere disposto in diverse fasi del procedimento. In primo luogo, l’art. 572 c.p. rientra tra i reati per i quali è ammesso l’arresto in flagranza, se l’autore viene colto nell’atto di compiere violenze o minacce.
L’arresto è spesso accompagnato da misure di protezione per la persona offesa, come il divieto di avvicinamento o l’allontanamento urgente dalla casa familiare.
In base alla riforma del Codice Rosso, le forze dell’ordine hanno anche la possibilità di applicare in via d’urgenza misure preventive, sottoponendole successivamente alla convalida del Pubblico Ministero.
Questa procedura mira a impedire che la violenza si ripeta e a garantire l’incolumità della vittima già nei primi giorni successivi alla denuncia.
L’allontanamento del reo dalla casa familiare
Nei procedimenti per Maltrattamenti in Famiglia, una delle misure più rilevanti e frequenti è l’allontanamento dell’indagato dalla casa familiare, previsto dall’art. 282-bis del codice di procedura penale.
Si tratta di una misura cautelare che il giudice può disporre quando esistono gravi indizi di colpevolezza e il pericolo concreto che la persona indagata possa reiterare le condotte violente o influenzare la vittima.
L’allontanamento obbliga il reo (ovvero chi è sospettato o acccusato del reato di maltrattamenti in famiglia) a lasciare immediatamente l’abitazione condivisa con la persona offesa e gli vieta di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati da quest’ultima, come il luogo di lavoro, la scuola dei figli o l’abitazione di familiari.
Quando le condotte sono particolarmente gravi o reiterate, il giudice può accompagnare la misura con ulteriori prescrizioni, tra cui:
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- il divieto di comunicazione con la vittima in qualsiasi forma, anche tramite social network o messaggistica;
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- l’obbligo di mantenere una distanza minima da determinati luoghi;
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- l’applicazione del braccialetto elettronico, che consente il controllo costante del rispetto della misura.
La violazione dell’ordine di allontanamento costituisce un reato autonomo, disciplinato dall’art. 387-bis c.p., e comporta pene severe, inclusa la possibilità di arresto immediato.
Questa misura è pensata per proteggere concretamente la vittima e consentirle di riprendere la propria vita in un contesto di sicurezza, evitando la convivenza forzata con l’autore delle violenze.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 33237/2022, ha ribadito che l’allontanamento è giustificato anche in presenza di indizi iniziali, purché fondati, perché la tutela dell’incolumità della persona offesa prevale sul diritto dell’indagato alla coabitazione familiare.
Dati ISTAT sui maltrattamenti e la violenza domestica
Secondo i dati ISTAT 2024, il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni ha subito nel corso della vita una qualche forma di violenza fisica o psicologica, e nel 55% dei casi l’autore è il partner o un familiare.
Ogni anno vengono registrate circa 18.000 denunce per maltrattamenti in famiglia e oltre 12.000 richieste di misure di protezione.
Nel 2023 il 60% dei procedimenti trattati dalle procure italiane per reati del Codice Rosso riguardava proprio l’art. 572 c.p.
Le regioni del Nord Italia mostrano un aumento costante delle denunce, segno di una maggiore consapevolezza e fiducia nelle istituzioni.
La violenza domestica non è più un fenomeno sommerso, ma un tema centrale nella tutela dei diritti fondamentali.
Giurisprudenza sui Maltrattamenti in Famiglia
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- Cass. Pen., Sez. VI, Sent. n. 19847/2022 – il reato sussiste anche in assenza di violenze fisiche, quando la vittima vive in un clima costante di umiliazione e soggezione.
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- Cass. Pen., Sez. V, Sent. n. 45423/2021 – i comportamenti reiterati di denigrazione e disprezzo, uniti a isolamento e controllo economico, integrano il delitto di maltrattamenti.
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- Cass. Pen., Sez. VI, Sent. n. 11061/2023 – la violenza economica è a pieno titolo riconosciuta come forma di maltrattamento in ambito familiare.
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- Cass. Pen., Sez. IV, Sent. n. 2853/2024 – confermata la condanna di un genitore per aver mantenuto un atteggiamento autoritario e umiliante nei confronti dei figli, anche senza episodi di violenza fisica.
Il gratuito patrocinio per le vittime di Maltrattamenti in Famiglia
Le vittime di Maltrattamenti in Famiglia hanno diritto al gratuito patrocinio a spese dello Stato, indipendentemente dal reddito.
L’art. 76, comma 4-ter, del D.P.R. 115/2002 prevede infatti che le persone offese dai reati rientranti nel Codice Rosso possano essere assistite gratuitamente da un avvocato penalista, a carico dello Stato.
Inoltre, le vittime che si affidano a un avvocato iscritto nell’Elenco degli avvocati patrocinanti esperti nel settore della violenza maschile contro le donne, istituito presso l’Ordine degli Avvocati di Milano, possono accedere a un fondo regionale che consente il rimborso delle spese legali sostenute, anche se superano i limiti di reddito ordinari.
Questo meccanismo garantisce un accesso concreto alla giustizia e rafforza la tutela delle vittime.
La costituzione di parte civile e il risarcimento del danno
La persona offesa dal reato di Maltrattamenti in Famiglia ha il diritto di costituirsi parte civile nel processo penale per ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa delle condotte dell’imputato.
La costituzione di parte civile può avvenire in qualunque momento prima dell’apertura del dibattimento di primo grado e consente alla vittima di partecipare al processo non solo come testimone, ma come soggetto attivo che chiede giustizia e ristoro.
Il risarcimento può comprendere sia il danno patrimoniale (spese mediche, psicologiche, legali, perdita di reddito) sia il danno non patrimoniale, che include la sofferenza morale, il turbamento psichico, la perdita della serenità familiare e la compromissione della dignità personale.
La Corte di Cassazione, Sez. VI, con sentenza n. 10930/2022, ha riconosciuto che, nei reati di maltrattamenti, la sofferenza inflitta non si esaurisce negli episodi di violenza, ma si protrae nel tempo, costituendo un danno permanente alla libertà morale della persona.
In altre pronunce (Cass. pen., Sez. IV, n. 18249/2023), è stato inoltre chiarito che il giudice penale può liquidare il risarcimento del danno anche in via equitativa, quando la quantificazione economica risulta difficile per la natura stessa delle sofferenze patite.
La costituzione di parte civile non richiede il pagamento di contributi se la vittima beneficia del gratuito patrocinio a spese dello Stato, previsto in modo automatico per i reati del Codice Rosso.
In tal modo, la persona offesa può ottenere una tutela completa, partecipando al processo e richiedendo un ristoro per i danni materiali e morali subiti, senza dover sostenere spese legali.
Come difendersi da un’accusa di Maltrattamenti in Famiglia
Chi è accusato di Maltrattamenti in Famiglia si trova in una posizione processuale complessa.
Il primo passo è rivolgersi immediatamente a un avvocato penalista per valutare la strategia difensiva e ricostruire i fatti in modo dettagliato.
Spesso le indagini si fondano su dichiarazioni della persona offesa: è quindi importante raccogliere prove, testimonianze e documentazione che possano dimostrare l’assenza di abitualità o la falsità delle accuse.
La difesa deve concentrarsi sulla mancanza di continuità o di abitualità, poiché il reato non si configura per singoli episodi isolati.
FAQ – Domande frequenti sui Maltrattamenti in Famiglia
Che cos’è il reato di Maltrattamenti in Famiglia?
È il reato previsto dall’art. 572 c.p. che punisce chi maltratta un familiare, convivente o persona sottoposta alla propria autorità, attraverso condotte fisiche o psicologiche reiterate.
Qual è la pena per i Maltrattamenti in Famiglia?
La pena va da tre a sette anni di reclusione, con aumenti in caso di aggravanti.
Il reato è procedibile a querela?
No, è procedibile d’ufficio: il Pubblico Ministero può agire anche senza querela della vittima.
Serve provare le lesioni fisiche per ottenere una condanna?
No, bastano comportamenti psicologicamente vessatori e abituali che generano paura o sofferenza.
Le vittime hanno diritto al gratuito patrocinio?
Sì, sempre, indipendentemente dal reddito.
Chi è accusato di Maltrattamenti cosa deve fare?
Deve rivolgersi subito a un avvocato penalista e raccogliere prove per contrastare le accuse.
Posso ottenere un risarcimento?
Sì, la vittima può costituirsi parte civile e chiedere il risarcimento dei danni materiali e morali.
